Sono stati da poco pubblicati i risultati di un’indagine sull’impatto psicologico della pandemia Covid-19 nelle famiglie in Italia, promossa dall’IRCCS – Istituto Giannina Gaslini di Genova e guidata dal neurologo Lino Nobili, che dirige il dipartimento di Neuropsichiatria Infantile dell’istituto.
Dalle risposte al questionario – raccolto a quindici giorni di distanza dall’inizio del lockdown, tra il 24 marzo e il 3 aprile – è emerso che i sintomi più frequenti, di cui hanno sofferto le bambine, i bambini e gli adolescenti nel nostro Paese, durante l’isolamento a casa per l’emergenza coronavirus, sono stati disturbi del sonno, attacchi d’ansia, aumento dell’irritabilità.
Non poter frequentare la scuola, non vedere le proprie maestre e i propri compagni, non poter uscire per incontrare gli amici e stare all’aria aperta li ha certamente penalizzati. Per molti è stato anche complicato abituarsi a modalità di apprendimento diverse, ad affrontare prove di valutazione scolastiche in forma digitale.
Abbiamo commentato i risultati dell’indagine con il dr. Valter Spanevello, consulente di Pediatria Generale in Woman Clinic.

Dr. Spanevello, adesso che il lockdown è terminato, cosa possono fare i genitori per favorire i bambini in questa fase di ripresa?
Consiglio ai genitori di fornire ai propri figli tutte le possibili occasioni di ripresa della vita sociale. I Centri Estivi (gestiti da privati, diocesi, scuole paritarie e fattorie didattiche) hanno ricevuto specifiche linee guida dall’ultimo Dpcm, sia in termini di gestione che di rapporto numerico tra operatori – bambini ed adolescenti.
Quindi SI ai rientri, in strutture che si sono attrezzate a garantire la piena sicurezza.
Questo è un importante traguardo raggiunto poiché da un lato si permette ai bambini di riprendere a socializzare con i propri coetanei, dall’altro si garantiscono alle famiglie servizi di supporto, considerata la ripresa delle attività lavorative.

Cos’altro possono fare i genitori, per declinare quanto accaduto in un’esperienza che renda più sicuri bambini e ragazzi, nella consapevolezza che ognuno può fare la sua parte per combattere e vincere una battaglia?
Riuscire a tramutare sensazioni più che comprensibili in questi casi, come preoccupazione, paura, sconcerto, in occasioni per acquisire conoscenza e sicurezza è sicuramente una grande sfida e opportunità.
Il Covid-19 ha anche offerto a tutti, adulti e bambini, la possibilità di capire meglio cosa sono i virus, come funziona il nostro corpo, quanto sia importante dedicarsi alla propria igiene, prendersi cura degli altri, tenere in ordine gli spazi personali e rispettare quelli comuni, essere in generale più pazienti e maggiormente tolleranti.
Tutti abbiamo dovuto sottostare a regole ferree, ma il buon esempio genitoriale ha sicuramente influito positivamente sull’atteggiamento dei figli. Molti bambini hanno potuto verificare che si può giocare in maniera più composta, ci si può gratificare anche attraverso attività manuali o di tavolo, godendo della collaborazione di altre persone.
Tranne che in alcuni casi, malgrado tutte le difficoltà anche alla gestione dello smart working e della didattica a distanza, la prova è stata ben gestita dalla maggior parte delle famiglie, all’interno delle quali si è resa necessaria un’autoregolazione della quotidianità che ha dato buoni frutti e probabilmente rimarrà come consuetudine. In questi mesi, abbiamo assistito ad un ritorno all’azione educativa della famiglia che sicuramente avrà benefiche ricadute sullo sviluppo armonioso della personalità e l’acquisizione di una maggiore stabilità emotiva.
La mia preoccupazione è però un’altra. A causa del lockdown, si sta accumulando un ritardo educativo generale, ma per la maggioranza dei bambini e ragazzi intrappolati anche nella crisi economica questo ritardo è drammaticamente rilevante; secondo i dati prodotti dalle indagini di Save the Children e della Comunità di Sant’Egidio parliamo di 6 bambini in grave ritardo su 10. Ad esso spesso si associano manifestazioni di disagio psicologico, aumentato rischio di violenza subita o assistita, riduzione di qualità degli apporti alimentari, riduzione dei supporti abilitativi e a volte strettamente medici, per bambini affetti da disabilità o patologie croniche.
Alcune associazioni di Pediatri, tra cui quella di cui faccio parte, si sono fatte portavoce di questa situazione, chiedendo agli Organi Decisionali scelte equilibrate che minimizzino sì il rischio infettivo, ma intervengano nei rilevanti danni causati dal lockdown.
Mi sento di ribadire quanto sia urgente prenderne consapevolezza ed intervenire, se si vuole evitare che alla crisi sanitaria e a quella economica si aggiunga una crisi educativa e sociale, dalle conseguenze drammatiche per una consistente minoranza di bambini, che già in precedenza viveva situazioni di difficoltà di apprendimento.